I Borghi della Riviera dei Fiori

Bartolomeo
I Borghi della Riviera dei Fiori

Visite turistiche

Un villaggio artistico sorto sulle rovine di un borgo medioevale abbandonato, spicca su una sinuosa collina alle spalle di Sanremo dando un’immagine suggestiva ed irreale di sè. Nel 1887 un violento terremoto colpì l’entroterra sanremese danneggiando gravemente Bussana Vecchia portando gli abitanti del borgo ad abbandonare le proprie case abbarbicate sulla roccia. Il borgo da allora non fu più abitato sino agli anni 60' quando una comunità di artisti, provenienti da tutto il mondo, ha riportato alla vita Bussana Vecchia e dove, ancora oggi, potrete farvi coinvolgere dalla magia che si respira salendo tra le piccole stradine ricche d'arte e artigianato.
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Bussana Vecchia
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Un villaggio artistico sorto sulle rovine di un borgo medioevale abbandonato, spicca su una sinuosa collina alle spalle di Sanremo dando un’immagine suggestiva ed irreale di sè. Nel 1887 un violento terremoto colpì l’entroterra sanremese danneggiando gravemente Bussana Vecchia portando gli abitanti del borgo ad abbandonare le proprie case abbarbicate sulla roccia. Il borgo da allora non fu più abitato sino agli anni 60' quando una comunità di artisti, provenienti da tutto il mondo, ha riportato alla vita Bussana Vecchia e dove, ancora oggi, potrete farvi coinvolgere dalla magia che si respira salendo tra le piccole stradine ricche d'arte e artigianato.
Dolceacqua è un piccolo borgo medievale sulle colline dell’entroterra ligure tra Ventimiglia e Bordighera, in provincia di Imperia. Questo piccolo villaggio della Val Nervia conta meno di 2000 abitanti e si sviluppa lungo l’omonimo torrente. La parte più antica, ai piedi del Monte Rebuffao, è dominata dal Castello dei Doria e chiamata dagli abitanti ‘Terra’. Quella più moderna, chiamata ‘Borgo‘, si sviluppa sulla riva opposta, ai lati della strada che sale la valle. Da qualche anno Dolceacqua è stato insignito della Bandiera arancione, un prestigioso marchio di qualità turistico e ambientale assegnato dal Touring Club Italiano. Claude Monet, che visitò il borgo per ben due volte - in una delle due occasioni fu in compagnia di Auguste Renoir - definì il ponte medievale un ‘gioiello di leggerezza’, un capolavoro di armonia e di eleganza di forme, formato di un solo arco a tutto sesto di circa 32 metri di luce risalente al 1.400 o poco dopo. Il Comune di Dolceacqua ha collocato, nel luogo esatto in cui l’artista posizionò il suo cavalletto, due pannelli con la riproduzione di due quadri di Monet in cui furono raffigurati il ponte e il castello.
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Dolceacqua
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Dolceacqua è un piccolo borgo medievale sulle colline dell’entroterra ligure tra Ventimiglia e Bordighera, in provincia di Imperia. Questo piccolo villaggio della Val Nervia conta meno di 2000 abitanti e si sviluppa lungo l’omonimo torrente. La parte più antica, ai piedi del Monte Rebuffao, è dominata dal Castello dei Doria e chiamata dagli abitanti ‘Terra’. Quella più moderna, chiamata ‘Borgo‘, si sviluppa sulla riva opposta, ai lati della strada che sale la valle. Da qualche anno Dolceacqua è stato insignito della Bandiera arancione, un prestigioso marchio di qualità turistico e ambientale assegnato dal Touring Club Italiano. Claude Monet, che visitò il borgo per ben due volte - in una delle due occasioni fu in compagnia di Auguste Renoir - definì il ponte medievale un ‘gioiello di leggerezza’, un capolavoro di armonia e di eleganza di forme, formato di un solo arco a tutto sesto di circa 32 metri di luce risalente al 1.400 o poco dopo. Il Comune di Dolceacqua ha collocato, nel luogo esatto in cui l’artista posizionò il suo cavalletto, due pannelli con la riproduzione di due quadri di Monet in cui furono raffigurati il ponte e il castello.
Cervo, da anni certificato tra `I Borghi più Belli d’Italia’, ha conservato intatte le sue originalissime caratteristiche di borgo medievale sul mare, protetto da torri e mura cinquecentesche e circondato da verdi colline. Il centro storico è praticabile solo a piedi ed è stato conservato con i suoi edifici, vecchi di secoli, e i suoi vicoletti ciottolati dove si trovano botteghe di artigiani ed artisti. attorno a ruderi di epoche passate, le colline sono ricche di boschi di pini e uliveti, percorse da sentieri silenziosi dove si respira aria pulita. A tavola, poi, Cervo è rimasta serenamente fedele alla dieta mediterranea: qui si fa ancora l’olio applicando l’antica tecnica della spremitura a freddo delle olive, il vino viene prodotto con le uve tipiche (pigato e vermentino) e i piatti sono cucinati con il pescato di ogni mattina. Di notevole patrimonio culturale, Cervo è dominata da un castello medievale, antica dimora dei Marchesi Clavesana, che oggi ospita mostre d’arte e il permanente Museo Etnografico del Ponente Ligure. Nel Borgo, gli antichi palazzi nobiliari aprono i portoni sui ‘carrugi’ dove si affacciano i portali del romanico Oratorio di Santa Caterina. Sul sagrato dei Corallini, la barocca Chiesa di San Giovanni Battista offre la concava facciata quale immagine caratteristica del paese. Per quanto concerne le manifestazioni, Cervo è nota per il Festival Internazionale di Musica da Camera che si svolge ormai da più di quarant’anni e dove i maggiori artisti d’Europa offrono concerti al chiaro di luna, da vivere in rapito silenzio. Il Festival e le rinomate Accademie musicali, hanno valso a Cervo il titolo di ‘Borgo della Musica’.
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Cervo
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Cervo, da anni certificato tra `I Borghi più Belli d’Italia’, ha conservato intatte le sue originalissime caratteristiche di borgo medievale sul mare, protetto da torri e mura cinquecentesche e circondato da verdi colline. Il centro storico è praticabile solo a piedi ed è stato conservato con i suoi edifici, vecchi di secoli, e i suoi vicoletti ciottolati dove si trovano botteghe di artigiani ed artisti. attorno a ruderi di epoche passate, le colline sono ricche di boschi di pini e uliveti, percorse da sentieri silenziosi dove si respira aria pulita. A tavola, poi, Cervo è rimasta serenamente fedele alla dieta mediterranea: qui si fa ancora l’olio applicando l’antica tecnica della spremitura a freddo delle olive, il vino viene prodotto con le uve tipiche (pigato e vermentino) e i piatti sono cucinati con il pescato di ogni mattina. Di notevole patrimonio culturale, Cervo è dominata da un castello medievale, antica dimora dei Marchesi Clavesana, che oggi ospita mostre d’arte e il permanente Museo Etnografico del Ponente Ligure. Nel Borgo, gli antichi palazzi nobiliari aprono i portoni sui ‘carrugi’ dove si affacciano i portali del romanico Oratorio di Santa Caterina. Sul sagrato dei Corallini, la barocca Chiesa di San Giovanni Battista offre la concava facciata quale immagine caratteristica del paese. Per quanto concerne le manifestazioni, Cervo è nota per il Festival Internazionale di Musica da Camera che si svolge ormai da più di quarant’anni e dove i maggiori artisti d’Europa offrono concerti al chiaro di luna, da vivere in rapito silenzio. Il Festival e le rinomate Accademie musicali, hanno valso a Cervo il titolo di ‘Borgo della Musica’.
IL NOME Deve la sua origine al latino tria ora, ovvero tre bocche: quelle del cerbero raffigurato nello stemma. Secondo alcuni il mostro infernale sta ad indicare i tre fiumi alla cui confluenza si trova il territorio, secondo altri i tre principali prodotti su cui si basava la sua fiorente economia: il grano, la castagna e la vite. IL GENIUS LOCI “Bisogna salire fin quassù – scriveva Riccardo Bacchelli – per vedere il cuore austero e scabro del paese ligure.” E non può che essere speciale un borgo che ha nello stemma il cerbero, il mostro canino severo custode dell’ingresso degli inferi pagani, ed il camposanto in posizione panoramica sul monte (averlo collocato lassù, dice lo scrittore, è una “stupenda invenzione d’amore”). A Triora tutto parla di streghe, mentre la Cabotina è il suo cuore segreto e misterioso, il sabba ed il regno dei morti. “Triora – afferma Quirino Principe – è la Loudun italiana, la Salem europea. Ma è più giusto dire che Loudun è la Triora di Francia e Salem la Triora del New England, poiché il celebre processo alle streghe si svolse a Triora nel 1588, e indubbia è la sua priorità cronologica, mentre in nulla è inferiore agli altri due quanto a spaventosa tensione…La strega e gli elementi infernali non erano nel borgo, bensì del borgo. Ciò che in origine appariva empietà e sacrilegio, irruzione del Nemico nella cittadella cristiana, si rivelava costume, indole, eredità genetica, natura. Quella terra non era vittima di Satana, ma sua incubatrice”. DA VEDERE Il vecchio borgo, per quanto deserto e segnato dalla distruzione bellica, conserva intatto il suo fascino. Provate ad osservarne il profilo, alla sera, dalla terrazza dell’albergo Colomba d’Oro. Se poi c’è la luna piena, la magia è assicurata. A tal proposito, molti sono i luoghi che sprigionano un senso di mistero, tra le viuzze e le piazzuole, in un dedalo inestricabile. Basta percorrere, in religioso silenzio, la zona dei casolari, nei pressi della Cabotina, per provare paurosi brividi ed un senso di angoscioso disagio. Se poi si sale verso il camposanto, “simile ad un fortilizio destinato all’ultima difesa” (come ebbe a scrivere Bacchelli) si prova un profondo senso di pace. O ancora, se con un ultimo sforzo, si raggiunge il sovrastante Carmo delle Forche, dove convengono in processione i neri incappucciati la seconda domenica dopo Pasqua, ci si rende conto della grande atavica fede popolare, testimoniata anche da una semplice cappelletta votiva. Passeggiare per il borgo, inoltrarsi dentro i carrugi, sotto volte e archi scavati nella roccia, negli antri scuri di case diroccate, è come tornare indietro nel tempo. Grande meraviglia si prova osservando i portali, da quello gotico (secolo XII) della collegiata a quelli ardesiaci delle dimore nobiliari, con i simboli delle casate discalpellati nel periodo napoleonico, contenenti ora motivi religiosi, quali agnelli mistici, delfini, monogrammi, Annunciazioni, ora profani, quali buoi, strane teste, personaggi straordinari. Non si può rimanere insensibili di fronte al vegliardo dalla lunga barba di vicolo Zunzelli o davanti al busto del benemerito padre Ricca in via Giauni, gli occhiali a molla tra le dita. è tutto un occhieggiare di segni del passato, di presenze sparite, di blasoni distrutti, di passi antichi che risuonano sul selciato di pietre levigate dall’uso. Tra le emergenze architettoniche figurano: la collegiata con il campanile tardo-gotico e con i suoi numerosi tesori, fra cui il Battesimo di Cristo del senese Taddeo di Bartolo, datato e firmato nel 1397, le due tele dell’altar maggiore, il Compianto per il Cristo Morto e San Giacomo, risalenti al primo quarto del secolo XV. Non mancano altri motivi di interesse, quali dipinti del Cambiaso, di Lorenzo Gastaldi e soprattutto una crocefisso ligneo del secolo XV ed una tavola con lo stemma di Jesus Hominum Salvator, lasciata da San Bernardino dopo che fu a predicare nella zona nel 1418. Il vicino oratorio di San Giovanni Battista, già destinato a Museo Diocesano, è una vera e propria pinacoteca con quadri di diverse epoche e differenti artisti, fra cui predominano i Gastaldi ed il Cambiaso. Non manca tuttavia una stupenda statua dello scultore genovese Anton Maria Maragliano, raffigurante il Precursore. Tra le chiese foranee meritano una visita quella di Santa Caterina, con lo straordinario portale del 1390 in caratteri onciali e quella di San Bernardino, mirabilmente affrescata nel XV secolo dal sacerdote pinerolese Giovanni Canavesio o dai suoi seguaci. Da non trascurare una visita ai ruderi dell’antico castello, il castrum vetus Trioriae, costruito dai Genovesi nel XIII secolo per la difesa dei propri confini. DIVERTIMENTO Treekking ed orienteering, mountain-bike, free-climbing e buildering nella località Loreto, passeggiate ed escursioni nei boschi e sui monti di Triora. Triora è immersa in uno scenario incantevole, che sprigiona una forza arcana. Nell’alta valle Argentina l’aria è particolarmente inebriante, il silenzio profondo, e qualcuno ancora pensa che aleggino su questo paesaggio gli spiriti degli antichi Druidi che hanno celebrato riti in questi boschi. Volendo andare alla ricerca di scenari agresti e montani, si può fare il giro delle frazioni di Triora, come Creppo, Cetta, Realdo e Verdeggia, ovvero delle sue innumerevoli borgate, quali Goina, Loreto, Bregalla, Carmeli, Borniga, il Pin, oppure salire alla pineta di Monte Trono, prendere la strada panoramica che conduce a Monesi, raggiungere incantevoli punti panoramici sulle Alpi Liguri. A Verdeggia, a Realdo ed alla Bassa di Sanson esistono rifugi alpini per gli escursionisti che affrontano gli itinerari sui monti attorno a Triora. MUSEI Museo regionale etnografico e della stregoneria, Corso Italia 1. Vi sono conservati oggetti legati alle antiche usanze agropastorali. Pannelli e fotografie ritraggono personaggi impegnati nelle attività quotidiane. Una sala è dedicata alla preistoria, un’altra contiene oggetti appartenuti alla benefattrice Margherita Brassetti. Non mancano statuette lignee ed in ceramica, giocattoli, vestiti, una preziosa fisarmonica, l’antico orologio campanario ed una serie di esemplari faunistici, fra cui un magnifico gufo reale. Nelle antiche carceri ha trovato posto una sezione dedicata alla stregoneria, con documenti, libri e la ricostruzione di ambienti (vi sono anche una strega nell’atto di essere torturata sul cavalletto ed un inquitore con il dito accusatorio puntato su streghe imprigionate). L’Associazione Turistica Pro Triora ha dato vita, nel 1990, ad una casa editrice, avente lo scopo di documentare gli antichi saperi, dalla cucina alla medicina popolare, dalla storia alle leggende, che rischierebbero di andare dispersi. I volumi sono in vendita presso l’assortito book-shoop del museo. PRODOTTI E SAPORI TIPICI Il principale prodotto del borgo è il pane, nella sua caratteristica forma rotonda. Molto apprezzati i formaggi d’alpeggio e il bruzzu, ottenuto dalla fermentazione naturale della ricotta; dal sapore leggermente piccante, è un ottimo condimento per la pasta e si sposa molto bene con il pane ed il pomodoro fresco. Il territorio dona anche castagne, miele e funghi, principalmente porcini e cicotti (tricholoma). Fra i piatti spiccano le torte di verdure e patate, chiamate semplicemente paste, cotte ancora sul treppiede, in una teglia ricoperta da un testu, sul quale sono poste braci ardenti. Squisite le patate in-t-a föglia, tagliate a fette e cotte in una teglia. Altri piatti sono i ravioli magri, le tagliatelle, le lasagne con le rape, gli gnocchi, i bügaéli (grumi di farina di castagne cotti nel latte), i ciapazöi ed i sügeli, questi ultimi di origine brigasca ma recentemente introdotti nella cucina locale. Anche i dolci hanno il sapore semplice e genuino di un tempo: i turrun natalizi, i canestrelli e le torte dolci, farcite di saporite marmellate.
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Triora
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IL NOME Deve la sua origine al latino tria ora, ovvero tre bocche: quelle del cerbero raffigurato nello stemma. Secondo alcuni il mostro infernale sta ad indicare i tre fiumi alla cui confluenza si trova il territorio, secondo altri i tre principali prodotti su cui si basava la sua fiorente economia: il grano, la castagna e la vite. IL GENIUS LOCI “Bisogna salire fin quassù – scriveva Riccardo Bacchelli – per vedere il cuore austero e scabro del paese ligure.” E non può che essere speciale un borgo che ha nello stemma il cerbero, il mostro canino severo custode dell’ingresso degli inferi pagani, ed il camposanto in posizione panoramica sul monte (averlo collocato lassù, dice lo scrittore, è una “stupenda invenzione d’amore”). A Triora tutto parla di streghe, mentre la Cabotina è il suo cuore segreto e misterioso, il sabba ed il regno dei morti. “Triora – afferma Quirino Principe – è la Loudun italiana, la Salem europea. Ma è più giusto dire che Loudun è la Triora di Francia e Salem la Triora del New England, poiché il celebre processo alle streghe si svolse a Triora nel 1588, e indubbia è la sua priorità cronologica, mentre in nulla è inferiore agli altri due quanto a spaventosa tensione…La strega e gli elementi infernali non erano nel borgo, bensì del borgo. Ciò che in origine appariva empietà e sacrilegio, irruzione del Nemico nella cittadella cristiana, si rivelava costume, indole, eredità genetica, natura. Quella terra non era vittima di Satana, ma sua incubatrice”. DA VEDERE Il vecchio borgo, per quanto deserto e segnato dalla distruzione bellica, conserva intatto il suo fascino. Provate ad osservarne il profilo, alla sera, dalla terrazza dell’albergo Colomba d’Oro. Se poi c’è la luna piena, la magia è assicurata. A tal proposito, molti sono i luoghi che sprigionano un senso di mistero, tra le viuzze e le piazzuole, in un dedalo inestricabile. Basta percorrere, in religioso silenzio, la zona dei casolari, nei pressi della Cabotina, per provare paurosi brividi ed un senso di angoscioso disagio. Se poi si sale verso il camposanto, “simile ad un fortilizio destinato all’ultima difesa” (come ebbe a scrivere Bacchelli) si prova un profondo senso di pace. O ancora, se con un ultimo sforzo, si raggiunge il sovrastante Carmo delle Forche, dove convengono in processione i neri incappucciati la seconda domenica dopo Pasqua, ci si rende conto della grande atavica fede popolare, testimoniata anche da una semplice cappelletta votiva. Passeggiare per il borgo, inoltrarsi dentro i carrugi, sotto volte e archi scavati nella roccia, negli antri scuri di case diroccate, è come tornare indietro nel tempo. Grande meraviglia si prova osservando i portali, da quello gotico (secolo XII) della collegiata a quelli ardesiaci delle dimore nobiliari, con i simboli delle casate discalpellati nel periodo napoleonico, contenenti ora motivi religiosi, quali agnelli mistici, delfini, monogrammi, Annunciazioni, ora profani, quali buoi, strane teste, personaggi straordinari. Non si può rimanere insensibili di fronte al vegliardo dalla lunga barba di vicolo Zunzelli o davanti al busto del benemerito padre Ricca in via Giauni, gli occhiali a molla tra le dita. è tutto un occhieggiare di segni del passato, di presenze sparite, di blasoni distrutti, di passi antichi che risuonano sul selciato di pietre levigate dall’uso. Tra le emergenze architettoniche figurano: la collegiata con il campanile tardo-gotico e con i suoi numerosi tesori, fra cui il Battesimo di Cristo del senese Taddeo di Bartolo, datato e firmato nel 1397, le due tele dell’altar maggiore, il Compianto per il Cristo Morto e San Giacomo, risalenti al primo quarto del secolo XV. Non mancano altri motivi di interesse, quali dipinti del Cambiaso, di Lorenzo Gastaldi e soprattutto una crocefisso ligneo del secolo XV ed una tavola con lo stemma di Jesus Hominum Salvator, lasciata da San Bernardino dopo che fu a predicare nella zona nel 1418. Il vicino oratorio di San Giovanni Battista, già destinato a Museo Diocesano, è una vera e propria pinacoteca con quadri di diverse epoche e differenti artisti, fra cui predominano i Gastaldi ed il Cambiaso. Non manca tuttavia una stupenda statua dello scultore genovese Anton Maria Maragliano, raffigurante il Precursore. Tra le chiese foranee meritano una visita quella di Santa Caterina, con lo straordinario portale del 1390 in caratteri onciali e quella di San Bernardino, mirabilmente affrescata nel XV secolo dal sacerdote pinerolese Giovanni Canavesio o dai suoi seguaci. Da non trascurare una visita ai ruderi dell’antico castello, il castrum vetus Trioriae, costruito dai Genovesi nel XIII secolo per la difesa dei propri confini. DIVERTIMENTO Treekking ed orienteering, mountain-bike, free-climbing e buildering nella località Loreto, passeggiate ed escursioni nei boschi e sui monti di Triora. Triora è immersa in uno scenario incantevole, che sprigiona una forza arcana. Nell’alta valle Argentina l’aria è particolarmente inebriante, il silenzio profondo, e qualcuno ancora pensa che aleggino su questo paesaggio gli spiriti degli antichi Druidi che hanno celebrato riti in questi boschi. Volendo andare alla ricerca di scenari agresti e montani, si può fare il giro delle frazioni di Triora, come Creppo, Cetta, Realdo e Verdeggia, ovvero delle sue innumerevoli borgate, quali Goina, Loreto, Bregalla, Carmeli, Borniga, il Pin, oppure salire alla pineta di Monte Trono, prendere la strada panoramica che conduce a Monesi, raggiungere incantevoli punti panoramici sulle Alpi Liguri. A Verdeggia, a Realdo ed alla Bassa di Sanson esistono rifugi alpini per gli escursionisti che affrontano gli itinerari sui monti attorno a Triora. MUSEI Museo regionale etnografico e della stregoneria, Corso Italia 1. Vi sono conservati oggetti legati alle antiche usanze agropastorali. Pannelli e fotografie ritraggono personaggi impegnati nelle attività quotidiane. Una sala è dedicata alla preistoria, un’altra contiene oggetti appartenuti alla benefattrice Margherita Brassetti. Non mancano statuette lignee ed in ceramica, giocattoli, vestiti, una preziosa fisarmonica, l’antico orologio campanario ed una serie di esemplari faunistici, fra cui un magnifico gufo reale. Nelle antiche carceri ha trovato posto una sezione dedicata alla stregoneria, con documenti, libri e la ricostruzione di ambienti (vi sono anche una strega nell’atto di essere torturata sul cavalletto ed un inquitore con il dito accusatorio puntato su streghe imprigionate). L’Associazione Turistica Pro Triora ha dato vita, nel 1990, ad una casa editrice, avente lo scopo di documentare gli antichi saperi, dalla cucina alla medicina popolare, dalla storia alle leggende, che rischierebbero di andare dispersi. I volumi sono in vendita presso l’assortito book-shoop del museo. PRODOTTI E SAPORI TIPICI Il principale prodotto del borgo è il pane, nella sua caratteristica forma rotonda. Molto apprezzati i formaggi d’alpeggio e il bruzzu, ottenuto dalla fermentazione naturale della ricotta; dal sapore leggermente piccante, è un ottimo condimento per la pasta e si sposa molto bene con il pane ed il pomodoro fresco. Il territorio dona anche castagne, miele e funghi, principalmente porcini e cicotti (tricholoma). Fra i piatti spiccano le torte di verdure e patate, chiamate semplicemente paste, cotte ancora sul treppiede, in una teglia ricoperta da un testu, sul quale sono poste braci ardenti. Squisite le patate in-t-a föglia, tagliate a fette e cotte in una teglia. Altri piatti sono i ravioli magri, le tagliatelle, le lasagne con le rape, gli gnocchi, i bügaéli (grumi di farina di castagne cotti nel latte), i ciapazöi ed i sügeli, questi ultimi di origine brigasca ma recentemente introdotti nella cucina locale. Anche i dolci hanno il sapore semplice e genuino di un tempo: i turrun natalizi, i canestrelli e le torte dolci, farcite di saporite marmellate.
IL NOME Deriva da apricus, cioè “soleggiato”, “esposto al sole”. Protetto dalle Alpi Marittime, il borgo sorge infatti in felice posizione tra i boschi di ulivi dell’estremo lembo della Liguria al confine con la Francia, godendo di un ottimo clima. IL GENIUS LOCI Apricale sta tutta in questi pochi versi di Rita De Santis: “Aggrappata al filo del monte / sgrani il tuo rosario di case / aspettando che la sera / azzurri la tua voglia di vivere” (Il Vento e la Primavera). La sua bellezza è già nel colpo d’occhio: arroccato alla ripida collina, con le case scure, sembra un paese del Duecento. Poi si entra nel borgo, e i tipici carugi di pietra, con le tre antiche porte ancora intatte, confermano l’atmosfera medievale. Su tutto, domina il castello della Lucertola: tradizione vuole che essa sia il simbolo dei Celti-Liguri qui insediatisi. DA VEDERE Apricale è unica. Disposta scenograficamente intorno alla piazzetta, ha un’anima a scale, con i vecchi edifici in pietra che si sviluppano in altezza su più piani: capita così che l’ingresso sia posto al piano alto e si debba scendere le scale per accedere alle stanze. Apricale significa poesie fatte in strada, atelier di artisti, rifugio di viaggiatori che hanno trovato il locus amenus in cui dare ascolto ai folletti o alla civetta nel bosco. Claudio Nobbio, il “poeta di Avrigue”, racconta in versi i miti di Apricale: la misteriosa lucertola che dà nome al castello, rinvenuta, sotto forma di vecchio metallo arrugginito, nel cerchio di pietre di Pian del Re, dove si era fermato il re dei Celti; il “trombettiere di Apricale” John Martin, soldato del generale Custer e unico sopravvissuto al massacro di Little Big Horn; l’arrivo di alcuni templari scappati dalla Provenza e nascosti nella torre. “La notte potrebbero esserci stelle / sopra la piazza di Avrigue / per farti ritrovare la strada / dei tuoi pensieri”: la splendida piazza, con la fontana di origine gotica e i sedili in pietra, è il cuore del borgo, attorniato da uno stupefacente agglomerato di case, vicoli, scalinate, contrafforti, sottopassi e orti. Bello è soprattutto il reticolo dei vecchi carruggi in pietra (vie Mazzini, castello, Cavour), angusti vicoli lastricati dall’andamento sinuoso e collegati da ripide scalinate. Alle spalle della piazza sorge l’oratorio di San Bartolomeo, al cui interno si ammira un bel polittico rinascimentale raffigurante la Madonna della Neve (1544); di fronte, la chiesa Parrocchiale, di origine medievale ma quasi interamente rifatta nel XIX secolo; in alto, il castello della Lucertola, completamente restaurato e adibito a contenitore culturale: contiene un giardino pensile ed è circondato – come la parte più alta del borgo – da una notevole cinta muraria con tre belle porte ad arco, mentre una delle torri quadrangolari del maniero è stata successivamente trasformata nel campanile della chiesa Parrocchiale. Da vedere, infine, ai piedi del borgo, la pieve di Santa Maria degli Angeli, con pregevoli affreschi rinascimentali e barocchi e, appena fuori, la chiesa di Sant’Antonio Abate, del XIII secolo con facciata barocca, e le rovine di San Pietro in Ento, pieve romanica di origine benedettina, il più antico edificio di culto del territorio. Apricale non disdegna però il tocco artistico della contemporaneità: la bicicletta sul campanile, i murales sui muri dei carruggi, le pagine d’acciaio del monumento al libro di Enzo Pazzagli e Claudio Nobbio. PIACERI E SAPORI Passeggiate, trekking e attività di montagna al rifugio escursionistico “Sciacaigaglia”. I percorsi storici che nei tempi passati collegavano il borgo alle principali località dell’interno e della costa si prestano oggi a piacevoli escursioni nel verde. Le numerose mulattiere, utilizzate fino alla seconda guerra mondiale, sono in parte diventate sentieri segnalati. Da vedere: gli Statuti Comunali del 1267, i più antichi della Liguria; la stanza della “Contessa di Apricale”, quella dedicata al Risorgimento e la Galleria del Teatro con i materiali del Teatro della Tosse di Emanuele Luzzati e Tonino Conte; il Castello della Lucertola via castello con il suo museo e le sue mostre d’arte tutto l’anno. Città dell’Olio, Apricale è terra di taggiasca, l’oliva che dà origine a un extravergine di eccezionale qualità. Dai produttori locali si trovano anche pâté d’olive, olive in salamoia, pesto, miele d’acacia e di castagno. Il menu di Apricale comincia con un antipasto di verdure ripiene (fiori di zucca, torta verde, sardenaira), prosegue con un primo piatto di ravioli (di carne, borragine o bietole) o con i tagliarini al pesto, mentre per i secondi la scelta è tra cosciotto d’agnello al forno, coniglio con le olive cotto nel vino Rossese e cinghiale con polenta. Come dessert, pansarole e zabaione.
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Apricale
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IL NOME Deriva da apricus, cioè “soleggiato”, “esposto al sole”. Protetto dalle Alpi Marittime, il borgo sorge infatti in felice posizione tra i boschi di ulivi dell’estremo lembo della Liguria al confine con la Francia, godendo di un ottimo clima. IL GENIUS LOCI Apricale sta tutta in questi pochi versi di Rita De Santis: “Aggrappata al filo del monte / sgrani il tuo rosario di case / aspettando che la sera / azzurri la tua voglia di vivere” (Il Vento e la Primavera). La sua bellezza è già nel colpo d’occhio: arroccato alla ripida collina, con le case scure, sembra un paese del Duecento. Poi si entra nel borgo, e i tipici carugi di pietra, con le tre antiche porte ancora intatte, confermano l’atmosfera medievale. Su tutto, domina il castello della Lucertola: tradizione vuole che essa sia il simbolo dei Celti-Liguri qui insediatisi. DA VEDERE Apricale è unica. Disposta scenograficamente intorno alla piazzetta, ha un’anima a scale, con i vecchi edifici in pietra che si sviluppano in altezza su più piani: capita così che l’ingresso sia posto al piano alto e si debba scendere le scale per accedere alle stanze. Apricale significa poesie fatte in strada, atelier di artisti, rifugio di viaggiatori che hanno trovato il locus amenus in cui dare ascolto ai folletti o alla civetta nel bosco. Claudio Nobbio, il “poeta di Avrigue”, racconta in versi i miti di Apricale: la misteriosa lucertola che dà nome al castello, rinvenuta, sotto forma di vecchio metallo arrugginito, nel cerchio di pietre di Pian del Re, dove si era fermato il re dei Celti; il “trombettiere di Apricale” John Martin, soldato del generale Custer e unico sopravvissuto al massacro di Little Big Horn; l’arrivo di alcuni templari scappati dalla Provenza e nascosti nella torre. “La notte potrebbero esserci stelle / sopra la piazza di Avrigue / per farti ritrovare la strada / dei tuoi pensieri”: la splendida piazza, con la fontana di origine gotica e i sedili in pietra, è il cuore del borgo, attorniato da uno stupefacente agglomerato di case, vicoli, scalinate, contrafforti, sottopassi e orti. Bello è soprattutto il reticolo dei vecchi carruggi in pietra (vie Mazzini, castello, Cavour), angusti vicoli lastricati dall’andamento sinuoso e collegati da ripide scalinate. Alle spalle della piazza sorge l’oratorio di San Bartolomeo, al cui interno si ammira un bel polittico rinascimentale raffigurante la Madonna della Neve (1544); di fronte, la chiesa Parrocchiale, di origine medievale ma quasi interamente rifatta nel XIX secolo; in alto, il castello della Lucertola, completamente restaurato e adibito a contenitore culturale: contiene un giardino pensile ed è circondato – come la parte più alta del borgo – da una notevole cinta muraria con tre belle porte ad arco, mentre una delle torri quadrangolari del maniero è stata successivamente trasformata nel campanile della chiesa Parrocchiale. Da vedere, infine, ai piedi del borgo, la pieve di Santa Maria degli Angeli, con pregevoli affreschi rinascimentali e barocchi e, appena fuori, la chiesa di Sant’Antonio Abate, del XIII secolo con facciata barocca, e le rovine di San Pietro in Ento, pieve romanica di origine benedettina, il più antico edificio di culto del territorio. Apricale non disdegna però il tocco artistico della contemporaneità: la bicicletta sul campanile, i murales sui muri dei carruggi, le pagine d’acciaio del monumento al libro di Enzo Pazzagli e Claudio Nobbio. PIACERI E SAPORI Passeggiate, trekking e attività di montagna al rifugio escursionistico “Sciacaigaglia”. I percorsi storici che nei tempi passati collegavano il borgo alle principali località dell’interno e della costa si prestano oggi a piacevoli escursioni nel verde. Le numerose mulattiere, utilizzate fino alla seconda guerra mondiale, sono in parte diventate sentieri segnalati. Da vedere: gli Statuti Comunali del 1267, i più antichi della Liguria; la stanza della “Contessa di Apricale”, quella dedicata al Risorgimento e la Galleria del Teatro con i materiali del Teatro della Tosse di Emanuele Luzzati e Tonino Conte; il Castello della Lucertola via castello con il suo museo e le sue mostre d’arte tutto l’anno. Città dell’Olio, Apricale è terra di taggiasca, l’oliva che dà origine a un extravergine di eccezionale qualità. Dai produttori locali si trovano anche pâté d’olive, olive in salamoia, pesto, miele d’acacia e di castagno. Il menu di Apricale comincia con un antipasto di verdure ripiene (fiori di zucca, torta verde, sardenaira), prosegue con un primo piatto di ravioli (di carne, borragine o bietole) o con i tagliarini al pesto, mentre per i secondi la scelta è tra cosciotto d’agnello al forno, coniglio con le olive cotto nel vino Rossese e cinghiale con polenta. Come dessert, pansarole e zabaione.
IL NOME Il nome attuale Seborga è riscontrato per la prima volta nell' atto del 1729 con cui i monaci di Lerins vendono il feudo ai Savoia. Deriva da Castrum de Sepulchro, nome dato al luogo dai conti di Ventimiglia che vi seppellivano i loro familiari, le cui spoglie non sarebbero state al sicuro nelle zone costiere razziate dai predoni saraceni. GENIUS LOCI Riposarsi all’ombra, sotto un albero d’ulivo, o tra le mimose, l’erica e le ginestre selvatiche che fioriscono sulle colline ligure di Ponente: questo si può fare in questo principato immaginario che gioca all’autonomia perduta, quando Seborga – per un breve periodo nel Seicento – coniava monete d’argento e aveva come motto Sub umbra sedi, «Mi sono riposato all’ombra» – appunto. A inventare il motto, sono stati i monaci di Lerins che di Seborga erano padroni: forse in una pausa tra la preghiera e il lavoro, quando dall’alto del borgo il loro sguardo spaziava sulle Alpi Marittime, la costa ligure e la Costa Azzurra fino al promontorio dell’Esterel; e in tanta bellezza non restava che chiudere gli occhi e sognare. DA VEDERE Tre sono i monumenti religiosi da vedere a Seborga. Il primo, all’entrata del paese, è il piccolo oratorio del XIII secolo dedicato a San Bernardo di Chiaravalle, che farebbe pensare a un passaggio del co-patrono in questo angolo del Ponente ligure, e forse anche a una presenza dei Templari, che al santo erano legati. Sulla semplice facciata, l’oculo riproduce la forma planimetrica della chiesa, al cui interno è conservata una tela attribuita ai Carrega di Porto Maurizio raffigurante San Rocco, Santa Lucia, San Bernardo e la Madonna con Bambino. Accanto, la statua di san Bernardo. Salendo verso il borgo, tra stretti vicoli e muri in pietra, si arriva in piazza San Martino, cuore dell’abitato, su cui si affaccia la secentesca chiesa parrocchiale di San Martino, dalla facciata barocca in chiari colori, restaurata nel 2006. Sul timpano si nota l’effige del santo patrono, mentre il prospetto centrale è occupato da una vetrata ai cui lati sono rappresentati l’arcangelo Michele e San Giovanni Battista. All’interno, dietro l’altare maggiore in una nicchia si ammira una statua lignea della Madonna con Bambino, in stile borgognone del XV secolo. A sinistra della chiesa si trova l’antica residenza dei monaci chiamata “il palazzo”, oggi priva dei suoi connotati religiosi perché posseduta da privati. Nel suo interrato sono visibili i resti della zecca secentesca. Due lati del sagrato della chiesa sono occupati da una sequenza di archi a tutto sesto, in uno dei quali è posta una fontana in pietra. Si affaccia sulla piccola piazza anche il palazzo comunale. Imboccando la stradina a destra, si arriva alle prigioni costruite dai monaci per rendere subito esecutive le condanne inferte dal giudice nella piazzetta del Parlamento, distante pochi metri. Un tuffo in un lontano passato, ricordato anche dalla struttura urbanistica medievale, caratterizzata da un intreccio di vicoli in saliscendi, dalla porta del Sole e dalla porta di San Sebastiano che chiudevano il borgo, e dalle tre torri dell’antica fortezza, originariamente dotata di quattro bastioni. COSA FARE Le numerose piste ciclabili del Monte Nero e i sentieri di collegamento con la costa, consentono agli amanti della mountain bike di spaziare tra mare e collina. Oltre al cicloturismo, l’area protetta di Monte Nero si presta alle passeggiate e ai lanci con il parapendio. Una visita alla cooperativa Agroflor introduce al magico mondo dei fiori e alla loro lavorazione. Museo degli Antichi Strumenti Musicali: esposizione di 135 pregiati strumenti realizzati tra il 1744 e il 1930, raccolti, conservati e resi funzionanti da un collezionista locale. Il suono di ogni pezzo è riprodotto in sottofondo.Gli strumenti sono divisi in aerofoni, cordofoni, idiofoni, membranofoni, a seconda dell’origine del suono. Museo dell’Antica Zecca: di prossima apertura, sarà ospitato in due locali, uno più propriamente espositivo, l’altro dedicato alla riproduzione del ciclo di coniatura delle monete. PRODOTTI E PIATTI TIPICI Seborga è il borgo dei fiori, in particolare della ginestra nella varietà chiamata seborghina, e della mimosa di specie Gaulois, di cui il borgo è uno dei principali produttori. Le coltivazioni en plein air sono visibili ovunque. Altra produzione tipica è quella dell’olio extravergine di olive taggiasche e dei suoi derivati, come i sotto protezione dall’Arca del Gusto di Slow Food. Il coniglio alla seborghina racchiude i profumi delle erbe aromatiche dell’entroterra, le deliziose note dei vini locali, la bontà delle olive. Accompagnato anche da un trito di fegato di coniglio rosolato, è la specialità locale.
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Seborga
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IL NOME Il nome attuale Seborga è riscontrato per la prima volta nell' atto del 1729 con cui i monaci di Lerins vendono il feudo ai Savoia. Deriva da Castrum de Sepulchro, nome dato al luogo dai conti di Ventimiglia che vi seppellivano i loro familiari, le cui spoglie non sarebbero state al sicuro nelle zone costiere razziate dai predoni saraceni. GENIUS LOCI Riposarsi all’ombra, sotto un albero d’ulivo, o tra le mimose, l’erica e le ginestre selvatiche che fioriscono sulle colline ligure di Ponente: questo si può fare in questo principato immaginario che gioca all’autonomia perduta, quando Seborga – per un breve periodo nel Seicento – coniava monete d’argento e aveva come motto Sub umbra sedi, «Mi sono riposato all’ombra» – appunto. A inventare il motto, sono stati i monaci di Lerins che di Seborga erano padroni: forse in una pausa tra la preghiera e il lavoro, quando dall’alto del borgo il loro sguardo spaziava sulle Alpi Marittime, la costa ligure e la Costa Azzurra fino al promontorio dell’Esterel; e in tanta bellezza non restava che chiudere gli occhi e sognare. DA VEDERE Tre sono i monumenti religiosi da vedere a Seborga. Il primo, all’entrata del paese, è il piccolo oratorio del XIII secolo dedicato a San Bernardo di Chiaravalle, che farebbe pensare a un passaggio del co-patrono in questo angolo del Ponente ligure, e forse anche a una presenza dei Templari, che al santo erano legati. Sulla semplice facciata, l’oculo riproduce la forma planimetrica della chiesa, al cui interno è conservata una tela attribuita ai Carrega di Porto Maurizio raffigurante San Rocco, Santa Lucia, San Bernardo e la Madonna con Bambino. Accanto, la statua di san Bernardo. Salendo verso il borgo, tra stretti vicoli e muri in pietra, si arriva in piazza San Martino, cuore dell’abitato, su cui si affaccia la secentesca chiesa parrocchiale di San Martino, dalla facciata barocca in chiari colori, restaurata nel 2006. Sul timpano si nota l’effige del santo patrono, mentre il prospetto centrale è occupato da una vetrata ai cui lati sono rappresentati l’arcangelo Michele e San Giovanni Battista. All’interno, dietro l’altare maggiore in una nicchia si ammira una statua lignea della Madonna con Bambino, in stile borgognone del XV secolo. A sinistra della chiesa si trova l’antica residenza dei monaci chiamata “il palazzo”, oggi priva dei suoi connotati religiosi perché posseduta da privati. Nel suo interrato sono visibili i resti della zecca secentesca. Due lati del sagrato della chiesa sono occupati da una sequenza di archi a tutto sesto, in uno dei quali è posta una fontana in pietra. Si affaccia sulla piccola piazza anche il palazzo comunale. Imboccando la stradina a destra, si arriva alle prigioni costruite dai monaci per rendere subito esecutive le condanne inferte dal giudice nella piazzetta del Parlamento, distante pochi metri. Un tuffo in un lontano passato, ricordato anche dalla struttura urbanistica medievale, caratterizzata da un intreccio di vicoli in saliscendi, dalla porta del Sole e dalla porta di San Sebastiano che chiudevano il borgo, e dalle tre torri dell’antica fortezza, originariamente dotata di quattro bastioni. COSA FARE Le numerose piste ciclabili del Monte Nero e i sentieri di collegamento con la costa, consentono agli amanti della mountain bike di spaziare tra mare e collina. Oltre al cicloturismo, l’area protetta di Monte Nero si presta alle passeggiate e ai lanci con il parapendio. Una visita alla cooperativa Agroflor introduce al magico mondo dei fiori e alla loro lavorazione. Museo degli Antichi Strumenti Musicali: esposizione di 135 pregiati strumenti realizzati tra il 1744 e il 1930, raccolti, conservati e resi funzionanti da un collezionista locale. Il suono di ogni pezzo è riprodotto in sottofondo.Gli strumenti sono divisi in aerofoni, cordofoni, idiofoni, membranofoni, a seconda dell’origine del suono. Museo dell’Antica Zecca: di prossima apertura, sarà ospitato in due locali, uno più propriamente espositivo, l’altro dedicato alla riproduzione del ciclo di coniatura delle monete. PRODOTTI E PIATTI TIPICI Seborga è il borgo dei fiori, in particolare della ginestra nella varietà chiamata seborghina, e della mimosa di specie Gaulois, di cui il borgo è uno dei principali produttori. Le coltivazioni en plein air sono visibili ovunque. Altra produzione tipica è quella dell’olio extravergine di olive taggiasche e dei suoi derivati, come i sotto protezione dall’Arca del Gusto di Slow Food. Il coniglio alla seborghina racchiude i profumi delle erbe aromatiche dell’entroterra, le deliziose note dei vini locali, la bontà delle olive. Accompagnato anche da un trito di fegato di coniglio rosolato, è la specialità locale.